“Questo sito è dedicato a Marthe Blouin” (Ottawa, 1954 – 2020).

21 Agosto 21 | Interviste

1 – Non possiamo decidere da soli

Intervista a Flavio di Giacomo, Responsabile della Comunicazione e Portavoce dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), agenzia specializzata delle Nazioni Unite.

Capitolo I: Non decidiamo da soli, un piccolo viaggio nel diritto internazionale. Parleremo di trattati, convenzioni e regolamenti, della differenza tra rifugiato politico e migrante economico e le loro caratteristiche. E ancora, i rimpatri, perché sono così difficili? Infine qualche nozione di diritto del mare.

Trascrizione

L’immigrazione, se ne parla così tanto, ma se ne parla così male. Il dibattito sembra limitarsi a porti aperti e porti chiusi. Che, in realtà, è l’unica questione che non andrebbe dibattuta. Se ci sono delle persone che rischiano di affogare tu le prendi, le parti a riva, gli dai una bella coperta, qualcosa di caldo e solo dopo cominci a riflettere sul da farsi. Per questo che su cosanepensate.it ho deciso di dedicare una pagina apposta per questo tema. Sin dall’inizio, ho sperato di poter intervistare qualcuno dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che è l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite. Non mi sarei mai aspettata a questo livello di disponibilità. Il portavoce dell’ufficio e di coordinamento OIM per il Mediterraneo mi ha dedicato due ore del suo tempo, facendomi fare un viaggio meraviglioso non nella migrazione ma nelle migrazioni. Ho deciso, quindi, di proporvelo in cinque capitoli. Oggi il primo: Non possiamo decidere da soli. Facciamo un piccolo giro nel diritto internazionale perché credo sia un contesto importante da conoscere, almeno un po’. Alla fine di questo video, come sempre, troverete le tre domande per voi, perché cosanepensate.it è lo spazio dove incontrarci per parlare, dibattere di temi importanti. E adesso non mi rimane che presentarvi e soprattutto ringraziare davvero tantissimo il dottor Flavio Di Giacomo.

Grazie a lei.

Ho cominciato dicendo che di migrazione si parla tanto ma si parla male. Perché secondo lei? 

Il problema del fenomeno migratorio è che è stato vissuto in modo sbagliato sia da destra che da sinistra. Perché da una parte, la destra lo vede come un rischio, un fenomeno securitario, una minaccia. Mentre molto spesso dalla sinistra, parlo di sinistre europee, non soltanto italiane, viene visto come un fenomeno umanitario, ossia bisogna aiutarli perché stanno soffrendo. Il fenomeno migratorio è un fenomeno politico, nel senso più nobile del termine. Un fenomeno politico che riguarda i diritti delle persone, ma riguarda anche situazioni e contesti geopolitici. Quindi semplicemente limitarlo in “Siamo buon”, “Siamo cattivi”, “Bisogna aiutarli perché poverini soffrono”, è un errore dal punto di vista della gestione del fenomeno. Stiamo seguendo quelle che sono le regole di convivenza civile che lui ha l’umanità si è data attraverso leggi, costituzioni, ecc.

E adesso cominciamo il nostro viaggio partendo dall’alto. Ci dica qualcosa sulle Nazioni Unite.

Beh, il sistema delle Nazioni Unite è un meccanismo abbastanza ampio, molto complesso. Ci stanno chiaramente le Nazioni Unite di per sé, la struttura, l’organismo centrale. Ma poi ci sono delle agenzie che sono agenzie specializzata delle Nazioni Unite. Quella più famosa, mi viene da dire la FAO, che sta qui a Roma: Food and Agricoltura Organization. Il World Food Program. Ma anche l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Quindi ci sono una serie di agenzie, alcune sono specializzate, alcune, come nel caso dell’OIM, è un’agenzia “collegata” alle Nazioni Unite. Quindi fa parte del sistema ONU, ma con dei legami decisamente meno forti rispetto a quello delle agenzie specializzate. L’organizzazione della FAO si occupa, chiaramente, di nutrizione, di cibo, di agricoltura. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si occupa dei rifugiati, quindi della convenzione di Ginevra. Quindi ha il mandato di difendere, di promuovere la convenzione di Ginevra. Per quello che riguarda l’OIM, invece, il mandato, che non è proprio mandato che si rifà a una convenzione come nel caso dell’UNHCR, però la specializzazione dell’OIM sono le migrazioni, i migranti. Un’agenzia per i migranti che era l’agenzia che mancava alle Nazioni Unite fino al 2016, quando l’OIM è entrata. Anche se l’OIM è molto più anziana. L’OIM è nata nel 1951.

E tutte queste organizzazioni, come sono finanziate?

Gli Stati membri danno dei fondi alle Nazioni Unite, quelli che sono chiamati i “core funds”. Poi, in realtà, ogni agenzia ha anche le sue modalità di finanziamento che vanno oltre quello del finanziamento che viene dato a livello di Stati membri. L’OIM è molto particolare, perché quando è entrata alle Nazioni Unite aveva già un suo sistema di finanziamento consolidato che non era legato al sistema delle Nazioni Unite. Penso che l’OIM sia una delle organizzazioni che, di fatto, prende, riceve meno fondi a livello centrale, perché è un’organizzazione fondamentalmente progettizzata. Lavora per progetti. Progetti che sono, di volta in volta, finanziati da ministeri, istituzioni europee, anche in qualche caso fondazioni private. Ma insomma progetti, come una ONG che lavora su progetti. Ci sono dei bandi, si risponde ai bandi, si vincono i bandi e poi ci sono i progetti che vengono portati avanti.

Se ci può spiegare, in qualche parola, cosa sono i trattati internazionali di cui sentiamo ogni tanto parlare.

La dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 è stata la dichiarazione base sul su cui poi si sono formati tutti gli altri trattati internazionali. Il 10 dicembre 1948 c’è stata la dichiarazione per i diritti umani. Comincerei da quello. Poi sono così tanti che io citerei quelli che interessano non tanto lo l’OIM, quanto il fenomeno migratorio in generale, quindi la convenzione di Ginevra sui rifugiati, la convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza contro le donne, il protocollo di Palermo sulla tratta, la convenzione dei diritti del fanciullo.

E in Europa?

Ci sono diverse direttive che regolamentano il diritto di asilo ma anche la gestione del l’immigrazione. La direttiva sulla ricongiungimento familiare, la direttiva su rimpatri, la convenzione di Dublino di cui si parla molto spesso. Insomma, diciamo che il diritto internazionale è molto molto complesso e molto variegato.

Gli Stati sono obbligati poi a trasformare questi trattati, queste convenzioni in leggi. 

In teoria, se un paese firma un trattato. poi deve recepirlo nel suo ordinamento interno. La convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne è stata recepita con decreto legge e poi convertita in legge. Le direttive europee, e qui parliamo di Unione Europea, hanno un termine temporale per essere recepite. I regolamenti, invece, sono immediatamente in vigore negli Stati membri.

E che cosa succede se poi questi trattati poi non vengono recepiti?

Si sa che il diritto internazionale manca di per sé di una forma forza di coercizione per farsi che diventi direttamente esecutivo. Però, attenzione, sebbene non sia di per sé immediatamente esecutivo, deve trovare attuazione attraverso le norme che lo recepiscono. Ci sono tutta una serie di convenzioni che, chiaramente, vanno recepite e sono firmate ma magari poi il recepimento prende molto tempo. Quindi, di fatto, non sono vincolanti. Poi, comunque, c’è sempre il diritto interno che dovrebbe, diciamo, sanzionare eventuali non applicazioni del diritto internazionale.

E adesso le chiedo qualche definizione, perché bisogna avere le idee chiare. Qual è la differenza tra rifugiato emigrante economico?

La definizione di rifugiato è quella più semplice da fornire, perché è direttamente citata dall’articolo 1 della convenzione di Ginevra del 1951, secondo la quale è rifugiato chiunque abbia il giustificato timore di essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale e per opinioni politiche. E si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può, o non vuole, per tale timore, domandare la protezione di detto Stato.

Non esiste in realtà una definizione giuridica di “migrante” tout court anche se, secondo l’OIM, il migrante è qualsiasi persona che lascia il suo luogo di residenza abituale per stabilirsi, temporaneamente o permanentemente, e per vari motivi, in un’altra regione o un altro paese attraversando così una frontiera internazionale.

La figura del migrante economico è un profilo un po’ semplicistico. Diciamo che può essere definita: qualsiasi persona che lascia il proprio paese di origine per ragioni economiche non collegate alla definizione di rifugiato, al fine di cercare di migliorare i propri mezzi di sostentamento. Il migrante economico, in realtà, può essere anche considerato migrante forzato perché quando si vive una condizione di estrema povertà, questa povertà fa sì che il desiderio, la volontà, la necessità di andare in un altro Stato non sia una scelta libera ma una scelta obbligata da un’estrema povertà che ti spinge in un altro paese.

Il percorso migratorio può trasformare, come spesso accade, il migrante economico in migrante vulnerabile, bisognoso di protezione, perché vittima di varie violazioni dei diritti umani.

Mi sembra abbastanza chiaro. Allora perché si fa tanta fatica, a volte, a decidere se un migrante è un migrante economico o un rifugiato?

Persone che in Libia subiscono violenze, abusi, vengono rapite a scopo di estorsione, gravissime violazioni dei diritti umani, quindi il migrante economico è una figura che, una volta che arriva in Libia, diventa migrante vulnerabile. Quindi, i flussi che arrivano dalla Libia sono composti sia da persone che fuggono dal paese di origine, ma anche persone che fuggono dal paese di transito, la Libia, che quindi non sono persone considerate, che rispondono alla profilo del rifugiato secondo la convenzione di Ginevra, ma sicuramente neanche possono essere definite migranti economici, perché in Libia subiscono tutta una serie di vulnerabilità, violazioni dei diritti umani.

Alla fine, chi è che decide e quali sono i paesi più severi?

La richiesta di asilo è una richiesta individuale, quindi non dovrebbe dipendere dal paese di provenienza. Non perché una persona viene dal Senegal allora deve essere espulso dal paese di asilo. È una richiesta individuale, una storia individuale, che viene quindi giudicata per quello che riguarda quella la singola persona. La commissione deve valutare quel singolo caso. Quindi è difficile dire qual è il paese che è più severo e meno severo. Quello che attua più rimpatri, quello che attua meno rimpatri. Dipende dalla singola commissione. Anche in Italia ci sono alcune commissioni che sono, tra virgolette, più severe rispetto ad altre. Alcune città in cui la percentuale di richieste di asilo accolte è inferiore rispetto ad altre. Quindi è difficile fare dei paragoni da questo punto di vista.

Adesso uno degli argomenti che fanno discutere di più: i rimpatri. Ci vuole spiegare come funzionano?

Anche lì è complesso. Una persona che fa un diniego, che quindi non ha accesso allo status di protezione internazionale, in teoria dovrebbe rientrare nel proprio paese d’origine. In alcuni paesi è più facile farlo ritornare, in altri casi no. So per certo che la Germania ha una politica di rimpatri che funziona abbastanza bene perché, comunque, ha a che fare con tutta una serie di Stati con cui ha degli ottimi rapporti. Sono soprattutto degli Stati d’Europa orientale ad esempio, in cui ci sono degli accordi, per cui queste persone possono essere rimandate più facilmente nei paesi d’origine.

Da noi in Italia sembra un po’ più complicato. Perché?

L’Italia un problema: l’Italia ha la maggior parte dei migranti che arrivava da paesi dell’Africa, occidentale e orientale. Sono tanti paesi. Le nazionalità che arrivano in Italia non sono 2 o 3. Parliamo di 20, 30 nazionalità diverse. Per far sì che una persona venga rimpatriata c’è bisogno di un accordo con il paese d’origine. La difficoltà nel concludere un accordo col paese di origine enorme, perché i migranti non hanno il passaporto. Se l’ambasciata, il consolato del paese d’origine non collabora, evidentemente non può partire questa persona, non può essere allo riportata in quel paese.

In questo momento, qual è la nostra situazione?

In Italia, ci sono pochissime accordi bilaterali funzionanti. Faccio un esempio: l’Egitto, la Tunisia sono degli accordi che funzionano. Allo stesso tempo però ci sono alcuni accordi che non funzionano e tantissimi accordi che non sono mai stati conclusi. Questa è la difficoltà. Un migrante, anche se fa un diniego, è molto complicato farlo tornare nel proprio paese d’origine perché, molto spesso, i paesi di origine non li accolgono e non hanno degli accordi con l’Italia.

E perché è così difficile fare accordi con i paesi d’origine?

Potrebbe creare dei problemi di consenso al governo locale. Perché potrebbe non essere vista bene dai propri concittadini che il proprio governo faccia rientrare i propri connazionali che erano andati a trovare un lavoro all’estero, espulsi dal paese. Ma, soprattutto, il migrante porta risorse. I migranti mandano rimesse. È una ricchezza. La migrazione è una ricchezza per i paesi d’origine. Quindi ci sono, che so, il Ghana che ha il 6% del Pil che si basa sulle rimesse dei migranti. Ora, queste rimesse dei migranti possono essere migranti regolari, ma anche rimesse di migranti non regolari, persone che mandano i soldi alla famiglia pur non essendo riuscite ad avere un permesso di soggiorno e pur lavorando in maniera era irregolare in Europa. Quindi perché il Ghana dovrebbe rinunciare a queste risorse? Per fare un piacere è un continente ricco come l’Europa? Quindi, diciamo che siamo piuttosto eurocentrici, nel senso che perché dovrebbero accettare i 5000 o 6000 ghanesi, senegalesi, all’anno?

E cosa si dovrebbe fare?

Magari pensare a politiche migratorie, accordi con gli Stati di origine, che siano fondati su basi paritarie. Perché dobbiamo considerarci alla pari con questi paesi di Africa, soprattutto occidentale, in questo caso di paesi di origine. Quindi non pretendere che il paese di origine riceva migranti espulsi ma bisogna fare, bisogna trattare con i paesi africani come paesi assolutamente paritari nostri, quindi senza un atteggiamento di superiorità che purtroppo, nel corso degli anni, l’Europa ha spesso avuto con parte del mondo.

Mi capita, quando parlo con amici francesi, svizzeri, di questi temi, loro mi dicono: “Ma tanto noi chiudiamo le frontiere”. Io cerco di spiegare che da noi, in Italia, è un po’ più complicato visto che le nostre frontiere sono il mare. Ce ne vuole parlare?

Parliamo del diritto del mare. Il diritto del mare che, chiaramente, ha delle sue regole che sono state firmate nel corso degli degli anni in varie convenzioni, e di cui si parla molto in questo periodo, perché quando si parla di soccorsi, salvataggi nel Mediterraneo, in questo momento ci sono molte critiche al fatto che il diritto del mare, la cui priorità è quella, in questo caso migratorio, di salvare vite, e quindi poi di decidere dove portare le persone una volta salvate, il diritto del mare, in questo momento è, diciamo, sotto l’attenzione mediatica perché non sempre si pensa che venga applicato in maniera corretta nel Mediterraneo.

E oggi, come da chi viene gestita questa situazione?

Allora, in questo momento c’è un vuoto totale da parte degli Stati nel Mar Mediterraneo, per cui, fondamentalmente, gli interventi in mare vengono fatti semplicemente a ridosso delle acque territoriali europee. Molto è stato demandato purtroppo, e sottolineo purtroppo, alla guardia costiera libica. È stata creata questa SAR, “search and rescue zone” libica, che è un po’ una contraddizione dal punto di vista internazionale. Ha un dovere di salvare vite, non il diritto esclusivo, però portata avanti da uno Stato considerato porto non sicuro. Quindi c’è anche una contraddizione dal punto di vista del diritto internazionale.

E le ONG?

Sono sempre di meno, purtroppo. Sono aumentati i morti, sono aumentati respingimenti, comunque quelli che vengono considerati intercettazioni in mare e persone riportate in dietro il Libia da parte della guardia costiera libica. Anche se non sono proprio veri respingimenti dal punto di vista del diritto internazionale. Però, de facto, sono persone riportate in Libia contro la loro volontà. E le ONG hanno un peso abbastanza limitato rispetto agli arrivi dell’ultimo periodo perché, appunto, ce ne sono poche.

In conclusione: chi decide se e come accoglierli?

Ora, bisogna sempre pensare che noi non è che concediamo, anche per il buon cuore dell’Italia, concediamo il permesso di soggiorno. Le persone hanno dei diritti. Questo bisogna stare molto attenti, perché poi nasce il cosiddetto “buonismo”: dobbiamo accoglierli perché poverini soffrono. No, ci sono dei diritti che queste persone hanno, che in altri paesi non sono stati rispettati, ma che queste persone hanno di per sé. Non facciamo altro che riconoscere i diritti che già gli appartengono in quanto esseri umani, in quanto poi regolati da tutta una serie di giurisprudenza internazionale e italiana.

E così finisce il primo capitolo. Ho voluto a farvi fare questo piccolo viaggio nel diritto internazionale perché credo sia un contesto importante da conoscere, per essere poi consapevoli che non è che non ci possiamo permettere di svegliarci la mattina e cambiare le cose così, come ci gira. Ci sono tante regole, decise da tutti, e dobbiamo ricordarci che questi tutti siamo anche noi. Facciamo parte delle Nazioni Unite, delle organizzazioni internazionali. Tutti questi trattati, queste convenzioni, sono frutto di uno sforzo, di un lavoro comune per andare a cercare alcuni principi, alcuni valori fondamentali, dei diritti da dover puoi garantire all’interno dei propri paesi.

Chiuso il primo, vi annuncio il secondo: I lunghi viaggi che non finiscono all’arrivo. Noi crediamo di conoscerli, ma vi assicuro di no.

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