“Questo sito è dedicato a Marthe Blouin” (Ottawa, 1954 – 2020).

12 Luglio 22 | Interviste

Nucleare, energia pulita

Intervista a Pierluigi Totaro, fisico nucleare e presidente del comitato “Nucleare e ragione”, che ci parla dell’opportunità che l’energia nucleare rappresenta per il nostro paese per risolvere la crisi energetica. Parleremo di come si produce l’energia, del trattamento delle scorie e di come metterle in sicurezza, ma anche del vero valore delle energie rinnovabili. Un interessante conversazione su un tipo di energia con una pessima reputazione in Italia, alla scoperta della veridicità o meno d questi pregiudizi.

Trascrizione

La prima domanda che mi pongo è che cosa fa un fisico nucleare in un paese dove non c’è una centrale nucleare?

Diciamo che le applicazioni dell’energia nucleare sono innumerevoli. Quindi, io ho moltissimi colleghi che lavorano, per esempio, nell’ambito della fisica medica; quindi, le applicazioni tecnologiche applicate alla medicina nucleare, le tecniche diagnostiche, le cure. Ci sono poi le attività di ricerca pura, attività di monitoraggio della radiazione, i sistemi di protezione, le applicazioni di radiazione in ambito industriale. L’Italia, tra l’altro, è all’avanguardia per quanto riguarda le attività di decomissioning delle centrali nucleari visto che è stato uno dei paesi ad uscire dal club degli Stati che producevano l’energia nucleare. Quindi, diciamo che la filiera di attività che porteranno poi progressivamente alla dismissione dei nostri impianti è più avanti rispetto ad altri paesi. Anche se la strada da fare è ancora abbastanza lunga visto che, per esempio, non siamo ancora dotati di un deposito per i rifiuti nucleari.

Intanto ci può spiegare come funziona una centrale nucleare? O meglio, come si produce energia?

Diciamo che concettualmente è molto semplice. C’è la necessità di produrre del calore per scaldare l’acqua e poi dall’acqua ricavare l’energia lì accumulata, l’energia meccanica nella rotazione di netturbine che poi da lì produrrà energia. Quindi, una parte degli impianti nucleari, in realtà, è molto simile agli impianti termici alimentati a carbone, a gas. Le centrali nucleari vengono rese speciali dal modo in cui inizialmente viene prodotta l’energia. La si produce sfruttando l’energia accumulata negli atomi di uranio, se nella giusta concentrazione viene posizionata all’interno di un contenitore pieno d’acqua può dare in moto una reazione a catena. Quindi, ci sono dei processi di fissione, perciò l’uranio si spezza e, in questa fase, avviene il rilascio di energia che è il calore. Quel calore va a scaldare l’acqua che poi metterà in moto tutto quel meccanismo che ho descritto prima, che porterà poi, per l’appunto, alla produzione di elettricità.

Ovviamente ogni volta che si sente parlare di centrali nucleari si parla di scorie radioattive. Come si creano e da dove arrivano?

Una premessa: la radioattività è presente in natura in molteplici forme; quindi, fa parte in qualche modo della realtà in cui siamo immersi. Noi abbiamo il cibo che contiene una certa quantità di radioattività, ma anche l’acqua stessa. Quindi, in aggiunta a questa radioattività naturale esistono poi tutte le forme di radioattività che derivano dalle attività umane, tra cui anche, chiaramente, la produzione di energia. Nel caso delle centrali nucleari ciò che è più delicato nel suo trattamento sono le scorie derivanti dal combustibile esausto. L’uranio, che si trova nelle bare immerse nell’acqua e che permette di fornire energia termica al sistema, alla fine di questa attività rimane e mantiene la radioattività per un certo periodo di tempo e, ovviamente, questo richiede un certo tipo di trattamento affinché questa radioattività residua che poi andrà via via a degradarsi nel tempo, in questa fase di degradazione non abbia conseguenze sulla salute per la salute delle persone e chiaramente anche per la salvaguardia dell’ambiente. 

E quando si parla di smaltimento di cosa si sta parlando dal punto di vista del volume? Cioè, quanto va poi messo in sicurezza e tenuto in sicurezza?

Diciamo che noi possiamo anche classificare i rifiuti radioattivi a seconda del loro livello di attività e a seconda del tempo che sarà necessario per avere questa degradazione che porterà queste scorie ad essere e a ritornare ai livelli della radioattività ambientale. Il 95% di ciò che viene prodotto come rifiuti radioattivi in realtà ha tempi di decadimento relativamente brevi. La cosa più delicata, invece, è il rimanente 5%, che è proprio il combustibile esausto. In quel caso là noi abbiamo la più elevata concentrazione di radioattività e il trattamento richiede poi alla fine un confinamento di tipo geologico; quindi, è necessario che questi rifiuti vengano conservati in un luogo sulla terra, nel quale ci sia la ragionevole certezza che la stabilità geologica garantisca una conservazione sicura per diverse generazioni. Questo è l’aspetto negativo della questione. L’aspetto positivo è che però i volumi in gioco in questa tipologia di rifiuti è molto bassa. Facciamo un esempio, che gli Stati Uniti hanno prodotto dal 1950 ad oggi, mi riferisco sempre a quell’attività che richiederanno lo stoccaggio definitivo geologico, ecco, tutte queste scorie – consideriamo che gli Stati Uniti hanno all’incirca un centinaio di reattori in funzione in questo momento e forniscono circa il 20% dell’elettricità di cui gli Stati Uniti hanno bisogno –  se le mettessimo in un unico luogo, l’occupazione sarebbe l’equivalente di un campo da football per un’altezza di circa 5-6 metri, quindi, possiamo immaginare un capannone di un paio di piani per l’estensione di un campo da calcio.

In che modo, concretamente, possono essere messe in sicurezza e quanto costa poi mantenerle in sicurezza?

I rifiuti nucleari non vengono accatastati così vicino l’uno all’altro, però di fatto, attualmente, il modo in cui vengono gestiti è esattamente così. Nel senso che i vari Stati in attesa che sia contaminata la costruzione di questi depositi definitivi conservano queste scorie ad alta attività in delle strutture che non sono altro che dei capannoni industriali. Ovviamente non vengono accatastati come nell’immaginario potrebbe apparire, quindi noi se abbiamo visto tutti almeno una volta “I Simpson” immaginiamo i rifiuti come dei bidoni aperti lasciati in un angolo senza che nessuno li guardi. Quello che accade concretamente è che questi rifiuti vengono resi inerti; quindi, c’è una sorta di solidificazione e di pietrificazione. Perciò, i rifiuti ad alta attività non sono liquidi ma sono solidi e questo già rende differente le problematiche di trattamento. Dopodiché, vengono inserite dentro alcuni cilindri in cemento e calcestruzzo dell’altezza di circa 4 o 5 metri e del diametro di due o 3 metri. Questi grossi cilindri che vengono chiamati Cask – che vengono progettati tra l’altro per poter resistere ad impatti particolarmente violenti – vengono poi posizionati a una distanza di qualche metro l’uno dall’altro all’interno di questi capannoni.

Le chiedo di nuovo quanto può costare mantenerle e, soprattutto, quanto costare creare nonché costruire queste strutture definitive?

Chiaramente c’è un costo di gestione perché comunque è necessario un personale che, perlomeno nei primi anni, applichi le attività di monitoraggio della struttura (si può parlare di milioni di euro). Mi pare che in Italia, che comunque adesso non avendo un deposito definitivo ha dei depositi temporanei in diversi siti posizionati sul territorio, il costo della conservazione si aggiri intorno alle decine di milioni di euro all’anno. Dopodiché, chiaramente, il costo maggiore è la realizzazione della struttura definitiva geologica. Lì, molto probabilmente, le cifre possono crescere sull’ordine delle centinaia di milioni di euro se non addirittura di miliardi. 

Lei ha parlato di sicurezza, però allora una domanda sorge spontanea, che cosa è successo a Fukushima? Senza neanche dover andare troppo lontano.

Allora, innanzitutto è importante una premessa: tutte le centrali nucleari si dotano di livelli di sicurezza ridondanti e progressivi; quindi, si tiene conto di tutti i possibili scenari e per ciascuno di questi si cerca di applicare una tecnologia che garantisca il contenimento di un problema nel caso in cui quel problema si verificasse. Quello che è accaduto nella centrale giapponese è che la previsione che era stata data sul possibile livello di tsunami in realtà era stato sottostimato. Quel terremoto è stato uno dei più intensi e devastanti della storia del Giappone. Quindi che cosa è accaduto? Che la centrale, nel momento in cui c’è stato il terremoto, è stata messa in sicurezza, il problema è che dopo alcune ore è arrivata l’ondata e i generatori diesel si sono spenti perché si sono allagati; quindi, il sistema di raffreddamento dell’impianto non era più in funzione surriscaldandosi. Pertanto, si è cercato di correre ai ripari in molti altri modi. Ma di fatto, l’impianto, oltre a essersi completamente compromesso ha anche avuto e subito delle perdite di radioattività nell’ambiente sia tramite l’acqua, che è percolata tramite le fessurazioni, sia tramite l’atmosfera.  

E in casi come questo quali sono i tempi? Quanto ci vuole per recuperare e per bonificare la zona?

Dipende dai livelli di radioattività che si depositano sul terreno. La maggior parte dell’area attorno alla centrale di Fukushima è già ritornata ai livelli di radioattività che sono considerati accettabili per la vita dell’uomo. È una cosa che richiede risorse economiche e tempo, però attualmente l’area realmente è off limits, nel senso che i livelli per i quali è importante che le persone non trascorrano lì molto tempo si è ridotta moltissimo dal 2011 ad oggi.

Fino ad adesso abbiamo parlato di come mettere in sicurezza queste scorie radioattive, però c’è una ricerca? Si sta andando verso una soluzione per rendere non più pericolose o proprio non c’è verso?

In realtà molti considerano questi rifiuti nucleari una risorsa e tecnicamente è così, perché la maggior parte degli impianti nucleari in funzione utilizzano solo una minima parte dell’uranio contenuto all’interno degli elementi di combustibile; quindi, quando quelle barre sono considerate esauste, in realtà conservano ancora 95% dell’uranio. Chiaramente ha delle caratteristiche diverse, quindi, richiede un diverso utilizzo, ma esistono già degli impianti nucleari che possono far uso del combustibile esausto e quindi, riutilizzarlo come combustibile per un secondo ciclo di attività di produzione di elettricità. Non sono tanti gli impianti che fanno questo, il motivo per cui questo non viene fatto è prettamente di carattere economico, ha dei costi maggiori e la maggior parte delle industrie nucleari dicono “Ma chi me lo fa fare di spendere di più per riprocessare il combustibile nel momento in cui l’uranio, in natura, nelle miniere da cui si può estrarre, lo posso fare in modo molto più vantaggioso economicamente”. È chiaro che dal punto di vista etico uno dovrebbe spingere di più verso la possibilità di riprocessare ma questo non significa che questo non possa essere fatto in un secondo momento. Anche i volumi giocano un ruolo importante, nel senso che se i volumi sono ridotti, il problema di gestione diventa molto più limitato.

E l’uranio dove si trova? Nel senso chi ce lo darebbe e quindi da chi, poi, dovremmo essere dipendenti?

Attualmente sono circa una quindicina di Stati che sono esportatori di Uranio. I più importanti sono l’Australia (che non ha centrali nucleari nel suo territorio ma ha moltissimo uranio che lo esporta), abbiamo il Canada, abbiamo alcuni paesi africani e alcuni paesi del centro-Asia, quindi le ex repubbliche sovietiche. Una cosa interessante è anche la possibilità di utilizzare le risorse di uranio presente negli oceani. Questo è molto affascinante perché a mio parere democratizzerebbe questo tipo di fonte perché non renderebbe più questa risorsa fruibile soltanto da alcuni Stati. Se noi estraessimo l’uranio dall’acqua di mare, saremmo in grado di rendere il pianeta terra indipendente dal punto di vista energetico per svariati migliaia di anni. Le tecniche ci sono, nel senso che esistono già delle procedure di filtraggio dell’acqua per estrarre, appunto, gli atomi di uranio che in essa sono disciolti. Non lo si fa attualmente per lo stesso discorso che facevo prima, nel senso che è una procedura più costosa di quanto non sia attualmente l’estrazione dell’uranio all’interno delle miniere. 

Noi in Italia non abbiamo centrali nucleari, quindi, si dovesse andare in quella situazione, quanto tempo ci vorrebbe a costruirne una e poi a renderla attiva?

Questa è una domanda molto delicata per l’Italia in particolare perché dobbiamo considerare diversi step. Il primo step è quello della creazione del know how; quindi, della conoscenza e delle competenze necessarie poi per mantenere in funzione un impianto di questo tipo. Chiaramente poi il nucleare è una tecnologia complessa. C’è da dire che l’agenzia internazionale e l’energia atomica esiste proprio per questo, per supportare e accompagnare gli Stati in questo processo di avvicinamento che può durare diversi lustri. Noi, come Italia, non partiremmo da zero, nel senso che noi abbiamo università – penso ad esempio al Politecnico di Milano, al Politecnico di Torino, c’è l’Università di Pisa – dove l’ingegneria nucleare viene proposta agli studenti e sforna svariate e decine di laureati all’anno. Esistono anche delle basi industriali nel senso che l’Italia ha delle aziende che si occupano di costruzione, di componentistiche per le centrali nucleari che vengono poi installate all’estero. E quello che manca, chiaramente – oltre al know how operativo, ma quello lo si può creare soltanto nel momento in cui si comincia a costruire un impianto e a metterlo in funzione ma l’aspetto peggiore è l’assenza di un assetto normativo, e su quello è difficile fare delle previsioni nel senso che mettere in piedi tutte le leggi che autorizzino una costruzione d’esercizio dell’impianto potrebbe richiedere 6 mesi come 10 anni. Questo dipende dalla volontà politica perché ecco, una cosa importante da sapere è che in Italia non è vietato costruire centrali nucleari, cioè i referendum non hanno vietato esplicitamente questa tecnologia, semplicemente, essendo referendum abrogativi, in particolare quello del 2011, hanno cancellato quelle norme che erano state messi in piedi per autorizzare l’iter. Altra incognita è quanto tempo ci vuole per mettere d’accordo i cittadini sui siti nei quali far costruire un impianto. Ma ipotizziamo altri cinque anni – giusto per fare una ipotesi ragionevole – di cui una prima legislatura delle leggi e una seconda legislatura per convincere le popolazioni, a quel punto, messa la prima pietra, potremmo immaginare un periodo di tempo tra i 5 e i 10 anni per costruire il primo impianto. Quindi, facendo i conti, arriviamo a una ventina d’anni.

Stiamo parlando di cifre astronomiche e di tempi lunghissimi. E allora mi domando: non converrebbe usare la metà della metà della metà di queste cifre per sviluppare energie da fonti rinnovabili? Anche perché poi, insomma, tutti questi investimenti sul nucleare, non si capisce bene chi ce li metterebbe e non si rischiano poi di andare in bolletta?

Uno dei grossi ostacoli più importanti che si deve affrontare è l’investimento iniziale. Nel senso che, a differenza di un pannello fotovoltaico dove i tempi di costruzione sono relativamente brevi e quindi poi si monetizza in maniera rapida la produzione, nel caso del nucleare è necessario accantonare diversi miliardi di euro. E quand’è che si comincia poi a rientrare dall’investimento? Solo al termine dei 5-10 anni dalla costruzione e quando poi l’elettricità viene prodotta. Quindi, è un problema di investimenti iniziale, non tanto poi di costi effettivi che graveranno sui cittadini a consuntivo alla fine.

Però come ho detto prima, questi sono miliardi di investimenti e non credo che saranno dati a fondo perduto, per cui chi ha investito vorrà un ritorno poi, e questo ritorno come lo si prende? In bolletta?

È il costo dell’infrastruttura e quindi dell’impianto solare che deve essere considerato. Se i punti di partenza sono diversi, nel senso come dicevo prima, il nucleare richiede un grosso investimento iniziale e quindi il rientro dall’investimento arriverà nel tempo mentre il pannello fotovoltaico arriverà nel tempo mentre il pannello fotovoltaico monetizza subito, però se si va poi a considerare alla fine il costo dell’unità dell’energia, considerando quindi tutto quello che è costato produrre quell’energia e andiamo a confrontare le varie fonti, non c’è grossa differenza tra il nucleare e il solare.

Lei mi sta dicendo che a parità di energia che noi riceviamo, i costi sono gli stessi che arrivi dal solare che dal nucleare?

In certi termini sì. Annualmente paghiamo all’incirca 10 miliardi di euro per il finanziamento delle fonti rinnovabili che sono state installate nel corso degli ultimi 10 anni. Quindi, dire che il pannello solare è stato gratis per quella persona che le ha installate, in realtà questo è avvenuto per quella persona soltanto perché lo Stato, riversando e ridistribuendo su tutti i cittadini, si è accollato il costo di quel pannello. Dopodiché, è chiaro che la persona che se lo è installato avrà un vantaggio economico perché qualcun altro ha sostenuto in buona parte, fino a qualche anno fa e adesso addirittura il 100% con le nuove norme del bonus 610%, tutti i costi. Questo non significa che il costo non ci sia, semplicemente se lo è accollato qualcun altro, in questo caso la collettività. Semplicemente sono due modi diversi di investire i soldi considerando però una cosa di cui spesso ci si dimentica, che mentre i pannelli fotovoltaici dopo 25-30 anni devono essere sostituiti, una centrale nucleare – come dicevo prima, ci vogliono 10 anni per costruirla – può lavorare per i successivi 80. Non bisognerebbe mai mettere così in contrapposizione le fonti rinnovabili e l’energia nucleare, da una parte abbiamo una soluzione che in pochi mesi permette a una abitazione, magari isolata e che quindi ha difficoltà anche ad allacciarsi alla rete, di avere una buona parte della sua energia fornita tramite pannello; dall’altra abbiamo la necessità però di costruire tutto un mix energetico per un paese ragionando su scale temporali più grandi. Cioè noi dobbiamo mettere in piedi un sistema che poi sia in grado di fornire elettricità pulita per decenni a venire. 

Ma secondo lei perché sarebbe così importante avere il nucleare in Europa? Tanti paesi lo hanno ma tanti altri no, perché dovremmo averlo noi?

Perché è una fonte pulita. Questo è stato certificato proprio negli scorsi mesi dagli organismi scientifici dell’Europa che si sono interrogati sulla classificazione o meno dell’energia nucleare come fonte sostenibile; quindi, anche se la percezione è quella di una fonte che ha un impatto ambientale, in realtà, comparandola con tutte le altre fonti ha tutti i titoli per essere etichettata al pari delle rinnovabili con una fonte utile per la lotta ai cambiamenti climatici in quanto non ha emissione di Co2.

Ma perché oggi noi dovremmo investire così tanto per un qualcosa che arriverà tra 20 anni? Io spero che tra 20 anni avremmo sviluppato tante nuove tecnologie, per cui veramente perché investire così tanto oggi per qualcosa che avremo tra 20 anni?

L’obiettivo per l’Italia, per l’Europa e per il mondo è di arrivare al 2050 a un saldo netto zero di emissioni, e quindi una produzione globale di energia che sia pulita. Perciò la scala temporale di 20 anni è perfettamente integrabile in una road map di questo tipo. Dobbiamo sempre ricordarci che, nonostante gli sforzi, noi abbiamo ancora l’80% dell’energia prodotta dai fonti fossili. La strada è lunga e quindi la mia domanda è: perché dobbiamo cercare di vincere la partita con un solo attaccante (ovvero l’energia rinnovabile) quando potremmo mettere una squadra con due punte e farle lavorare insieme per raggiungere quell’obiettivo?

In conclusione, conoscendo gli italiani e conoscendo la nostra politica, verosimilmente si arriverà al nucleare?

Io sono sempre stato giudicato un inguaribile ottimista quindi per me la risposta è sì. Sono consapevole che la sfida più difficile è quella di tipo culturale cioè di contribuire in qualche modo, col mio piccolo quotidiano, a costruire quella cultura scientifica che aiuti ad accettare questa tecnologia. È chiaro che la strada è molto più lunga rispetto ad altri paesi. Io ho sempre la speranza di immaginare un futuro in cui per i figli, per i nostri nipoti, l’energia sia pulita e sia disponibile per tutti. Io credo che il nucleare su questo avrà un ruolo e il tempo solo ci dirà se questo avverrà oppure no.

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