“Questo sito è dedicato a Marthe Blouin” (Ottawa, 1954 – 2020).

18 Luglio 22 | Interviste

Ecologia: usiamo bene i fondi

Intervista all’europarlamentare Rosa d’Amato, del gruppo dei Verdi, nella quale discutiamo delle ultime novità riguardo l’agenda climatica dell’Unione Europea: dall’inserimento dell’energia nucleare tra le fonti rinnovabili ai cambiamenti che la guerra sta portando nel panorama energetico mondiale. Parleremo anche di come si sta comportando la politica italiana e del perché, anche se i fondi ci sono, non vengono utilizzati.

Trascrizione

Stiamo vivendo un’emergenza climatica. I Partiti Verdi però non sembrano riscuotere grandi successi durante le elezioni. Perché secondo lei?

C’è un processo di miglioramento della comunicazione anche, perché al momento siamo percepiti come quelli dei fiorellini, della protezione degli animali, degli uccelli eccetera. Ma in realtà c’è molto di più. Oltre a saper dire di no all’inquinamento folle che provoca disastri ambientali e sanitari, bisogna capire che quando si parla di giustizia ambientale parliamo di giustizia sociale. Qualcuno cerca di dividere le due cose, nel senso che se si difende l’ambiente, se si lotta per avere energie rinnovabili, stoccaggio con l’idrogeno verde, vuol dire anche difendere i lavoratori perché il futuro del lavoro è soltanto nella green economy, non certo nell’economia dell’800 che sta dietro le fonti fossili e al carbone. Pensate che anche Elettricità Futura, che è la sezione delle rinnovabili di Confindustria ci viene incontro e appoggia questa trasformazione dell’economia e dà proprio dei numeri fondamentali, parla addirittura dell’Italia di quattrocento settantamila posti di lavori in più. Naturalmente si parla anche di una formazione perché parliamo di dover riformare nuove professionalità. Anche quello è un investimento che va fatto e vuol dire anche nuovi posti di lavoro. Il Parlamento Europeo ha dato il via libera all’atto delegato della Commissione Europea che definisce verdi il nucleare e il gas. Quindi, ci potranno essere finanziamenti sottolineati verdi per gasdotti e centrali nucleari. Questo è un ostacolo sicuramente. Adesso ci sono i nuclearisti si ringalluzziscono e bisognerà fare di nuovo quella battaglia per far capire che per il nuovo nucleare ci vogliono, se va bene, almeno altri dieci anni. 

Lei dice che per arrivare al nucleare ci vorrebbero comunque dieci anni. Però, perché non può essere anche questo un investimento per il futuro? Non è un’energia pulita? Perché non si potrebbe investire anche in quello?

Il nucleare di oggi non lo è. Il nucleare di oggi ha bisogno di dieci anni per essere costruito e ha il problema dello stoccaggio dei rifiuti. Non è vero, oltretutto, che non produce Co2. Altre problematiche sono anche gli investimenti perché spendere soldi per il nucleare vuol dire sottrarli alle energie rinnovabili. Quindi così rallentiamo uno sviluppo economico che è quello verde, e solo lì c’è. Io vedo solo vantaggio nella cosiddetta transizione equa che va attuata al più presto. Non l’abbiamo capito con la pandemia? Ma a quanto pare anche la guerra sta rallentando questo processo di riconversione dell’economia.

E la guerra adesso tra Russia e Ucraina che effetti sta avendo? Che conseguenze sta avendo?

La guerra ci dice che se da un lato dobbiamo affrancarci dal gas russo, e anche qui dei calcoli ci dicono che possiamo non prendere più il gas russo dal 2025 e il resto prenderlo da altri approvvigionamenti, dall’altro lato abbiamo però una continua richiesta, speculazioni – speculazioni iniziate già prima che scoppiasse la guerra – da parte delle compagnie petrolifere del gas, e adesso con la guerra se ne stanno approfittando. E invece di tassare gli extraprofitti di queste compagnie petrolifere e riversarli sulle piccole medie imprese, sulle microimprese, sulle famiglie più vulnerabili, sui soggetti più vulnerabili, e ad aiutarli, ad esempio, ad utilizzare il cosiddetto reddito energetico, ossia a rendersi autonomi energeticamente o finanziare le comunità energetiche, o finanziare l’Hydrogen Valley e l’Hydrogen Park, si ha il timore, o perlomeno, è il potere che hanno queste lobby che bloccano i nostri governi. Non è sufficiente ristorare i nostri piccoli imprenditori, le nostre imprese, le famiglie, con degli sconti in bolletta. Non andiamo a fondo del problema e ci stiamo indebitando perché comunque, sono soldi pubblici che andiamo ad utilizzare.

Noi stiamo vedendo che comunque con questa guerra, invece di investire in fonti rinnovabili, stiamo andando a cercare nuove fonti fossili in altri paesi. Che cosa ne pensa?

Anche per motivi geopolitici e di sicurezza internazionale, noi dobbiamo liberarci dalle fonti fossili, perché vuol dire essere indipendenti dalla Russia, dall’Algeria, dalla Libia o sfruttare ancora in quei paesi africani che dovrebbero essere ricchi e invece li sfruttiamo in tutti i sensi. Si sta spremendo ancora fino alla fine questo limone delle fonti fossili sfruttandolo fino alla fine, continuare a fare profitti, a fare affari e trattare con i dittatori della terra, a sfruttare situazioni di instabilità come quelle della Libia, ma siamo ancora maggior ragione sotto ricatto. Prendo l’esempio della Libia e della Turchia, loro ci minacciano di aprire i cancelli dell’immigrazione utilizzando il gas; quindi, facciamo questi contratti capestro veri e propri ricattati anche con la questione dell’immigrazione.

Ma questa energia da fonti rinnovabili potrebbe davvero bastare a ricoprire le necessità di un paese? Quanto ci vorrebbe?

Se si volesse soddisfare l’intero fabbisogno elettrico dell’Italia, per esempio, con gli impianti fotovoltaici, la scelta ci dice che sarebbero necessari all’incirca cinquemila e trecento chilometri quadrati, che corrispondono a 1,7% della superficie totale. Se pensiamo che la superficie attualmente copribile rappresenta l’8% del totale, di cui una buona metà sono ad esempio i capannoni industriali, i capannoni agricoli, i parcheggi, gli edifici pubblici e le scuole, potremmo dire senza essere smentiti che basterebbe coprire col fotovoltaico meno della metà di queste superfici per far fronte ai bisogni totali del paese. E poi stiamo dimenticando l’eolico, le fonti di calore, l’idrogeno come stoccaggio e anche le altre tecnologie rinnovabili, la geotermia per esempio fatta come si deve, può essere parte importante di un mix energetico.

Si parla di problemi ecologici, sembra quasi qualcosa di astratto, però che conseguenze hanno realmente e concretamente sulle persone? 

Allora, io vengo da Taranto, e ho un caso emblematico di come i profitti e l’utilizzo del carbone ha portato benessere fino ad un certo periodo, ma quando poi ci si è resi consapevoli dei danni all’ambiente e alla salute, la popolazione ha cominciato ad alzare la testa. Questi danni ce li porteremo, ammesso che oggi si chiudesse la fonte inquinante, per altri vent’anni. Quello di Taranto, ma parlo di Gela, Brescia, la Terra dei Fuochi, sono tutti casi in cui la tutela dell’ambiente diventa danno sanitario – e vi parlo non soltanto di “neoplasie” – come l’infertilità, endometriosi, sclerosi multipla e così via, per finire alla semplice intolleranza e allergia ai metalli pesanti. Vuol dire abbassare le qualità di vita della popolazione.

E se parliamo proprio dei cambiamenti climatici, anche questi concretamente, che conseguenze hanno sulle persone?

I disastri naturali che succedono costantemente, la siccità, danni ancora all’agricoltura, le alluvioni, l’innalzamento dei mari e questo porterebbe alla scomparsa futura delle cittadine e dei porti, perciò le economie verranno meno. Vuol dire anche ammalarsi di più ed essere di meno in questo mondo. Il pianeta si trasformerà, esisterà, sarà invece l’essere umano che non ci sarà più, sarà più malato e più anziano.

Quando si sente parlare di questi temi, ogni tanto si sentono anche dei toni tragici. Ma non è che forse, ogni tanto, c’è anche un po’ di esagerazione in questa comunicazione?

No, purtroppo non sono esagerazioni. Purtroppo, lo vediamo tutti i giorni, ci sono studi scientifici aggiornati di anno in anno che ce lo dicono, non c’è più tempo. Se non riusciamo ad abbassare il livello delle emissioni di Co2 e quindi cercare di fermare l’innalzamento delle temperature di questo pianeta, andremo incontro a disastri continui.

Abbiamo visto purtroppo la tragedia alla Marmolada ma in che modo è collegata, se collegata, al problema dei cambiamenti climatici?

Diceva il professor Mercalli che su quattromila e quattrocento ghiacciai solo nelle alpi, sono monitorati solo una quindicina e tra queste non c’era la Marmolada, era data come relativamente sicura. Il punto è che le temperature degli ultimi giorni erano veramente alte, dieci gradi sulla Marmolada è una temperatura troppo alta e quindi è successo che si è raggiunta quella temperatura a zero per cui il ghiaccio si scioglie e poi è successa la tragedia per cui ha agevolato lo scioglimento nonché il distacco di quella parte del ghiacciaio.

E come ci siamo arrivati a questo punto, a questa situazione?

Eh, bella domanda. Anche perché i segnali c’erano tutti. Pensi che addirittura degli scienziati nel 1956 pronosticavano una crisi energetica. Ci dicevano già allora che si avrebbe un esaurimento delle riserve delle riserve del petrolio intorno al 2023. Negli anni ’70, poi, c’è stato un report che si intitola the limits to growth, quindi i limiti dello sviluppo, paventando un possibile over shoots della terra ossia stop, abbiamo sfruttato al massimo le nostre risorse che sono limitate. Quindi, questa continua corsa alla crescita è insostenibile, dobbiamo pensare a uno sviluppo sostenibile. Inoltre, parlava di un picco di produzione nel 2008 seguito poi da una rapida depressione, fino a quando poi non arriveremo ai giorni d’oggi – e quindi parliamo di 2020 – quando anche la quantità di cibo e servizi per persona avrà anch’essa un picco e un declino, con l’avere dal 2030 la popolazione mondiale raggiungere il picco e poi crollare vertiginosamente, lo stesso discorso che facevamo anche prima. Quindi, se siamo a questo punto è perché il nostro sistema economico è rimasto quello della seconda rivoluzione industriale, noi dobbiamo fare quello della terza rivoluzione industriale. Qualcuno parla di quarta, ma quella è un’industria 4.0, quella che utilizza l’intelligenza artificiale, che utilizza l’iter delle cose ma che in realtà è ancora basata sulle fonti fossili e non sulle rinnovabili. Quindi noi dobbiamo abbracciare la terza rivoluzione industriale, quella che divulgava ormai da vent’anni l’economista americano Jeremy Rifkin. Quindi, siamo stati incuranti di tutti questi messaggi provenienti dagli scienziati già cinquant’anni fa. Ecco come siamo arrivati.

E che cos’è che andrebbe fatto ora? Qual è la cosa più urgente che andrebbe fatta adesso?

È accelerare assolutamente nell’investimento delle fonti rinnovabili. Utilizzare le fonti RRF (Recovery and Resilience Facility) che è un fondo nato per uscire dall’emergenza della pandemia, ma che vedeva e vede tutt’ora un investimento almeno del 37% della transizione ecologica, ecco bisogna accelerarla. Bisogna accelerarla sburocratizzando al massimo, semplificando con un piano strategico che il nostro governo ha fatto senza adeguando il PNIEC (Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) ma comunque un passo avanti, si può riuscire al 2030 ad avere ottimi risultati per questa transizione energetica. E bisogna formare le vecchie generazioni formandoli alle nuove professionalità nel campo delle rinnovabili e della digitalizzazione nonché investire nell’idrogeno verde, perché se un difetto ce l’hanno le energie rinnovabili è lo stoccaggio e l’idrogeno verde è una soluzione. Sottolineo che deve essere verde, cioè idrogeno condotto da energie rinnovabili, non ancora una volta da gas o addirittura da petrolio o dai rifiuti.

Il problema dell’ambiente è un problema globale. Lei ha la sensazione che in Europa o in generale anche nel mondo, viene affrontato in questo modo tutti insieme o no?

Se l’Europa sembra da un lato avere degli obiettivi per mitigare il cambiamento climatico quindi si dà delle scadenze, dei programmi, o perlomeno il mondo occidentale lo fa, sembrerebbe che Cina e India stiano rallentando questo percorso di trasformazione. Ecco perché l’ONU può avere un grande compito in questo senso ma ci sono anche all’interno della stessa Europa, Stati dipendenti dal carbone come la Polonia, ma che sarà evitato nella transizione. Quindi non è che con uno schioccar di dita si pretende questa trasformazione, premesso che avremmo dovuto già farla. Ma il gesto acisgelfang, per esempio, buona fetta va a questi paesi che sono dipendenti dalle proprie miniere di carbone. Adesso bisogna controllare che le utilizzino per bene verso questa transizione energetica. Non è questione di denaro e non è questione di mancanza di fondi, questo deve essere chiaro, ma di come si usano.

Lei dice che i fondi ci sarebbero, però allora, per quale ragione non vogliono essere usati per sviluppare quest’energia da fonti rinnovabili? C’è poca fiducia? Per quale ragione?

Ci sono le lobby che hanno avuto la meglio perché questo voto in Parlamento Europeo non ha avuto successo per una sessantina di voti; quindi, non è così tanto in fondo su settecento cinque deputati. In commissione ambiente ed economia riunite, la battaglia era stata vinta e sono due commissioni abbastanza conservatrici, non sono piene di progressisti. In questo lasso di tempo le lobby si sono date da fare. C’è stato anche lo spauracchio del voler rallentare la ricostruzione in Ucraina se non avessimo dichiarato verdi queste due fonti di energia, invece non è così. Ci hanno tacciato addirittura di non essere a favore del popolo ucraino e di voler rallentare la ricostruzione di quel paese, è assolutamente assurdo. Sono le lobby delle fonti fossili della centrale nucleare che hanno avuto buon successo soprattutto nella destra conservatrice e anche in una parte dei liberali che in Europa sono nel gruppo Green Deal Europe dove dentro c’è Italia Viva di Renzi o Macron.

E la politica che cosa sta facendo? Soprattutto in Italia che cosa sta facendo?

In Italia abbiamo chi cerca anche stando nel governo di dare un tocco ecologista e ad aiutare la transizione. Poco rappresentati forse abbiamo Europa Verde ma abbiamo anche il Movimento 5 Stelle che ha, perlomeno nelle elezioni politiche del 2018, preso quell’area ecologista che combatteva sui territori contro l’inquinamento e adesso questo soggetto in previsione del futuro governo queste anime si devono incontrare, allargarsi, una sorta di alleanza ecologista che faccia capire che tenere insieme la giustizia sociale e la giustizia ambientale è fondamentale, e si può fare. Non c’è giustizia ambientale senza giustizia sociale. Vuol dire tutelare le imprese sostenibili, ecosostenibili e quelli che lo vogliono diventare. Quindi non vuol dire essere anti industrialisti, al contrario, vuol dire credere che nel futuro la Green Economy vada incentivata e tutte quelle economie che vogliono e devono trasformarsi avranno e hanno negli ecologisti i loro alleati, anche all’interno di forze politiche ecologiste di cui tanto si sente bisogno.

E riguardo questa nuova generazione – Greta Thunberg e tutto quello che le gira intorno – secondo lei stiamo vedendo soltanto dell’entusiasmo giovanile o ce la faranno a cambiare qualcosa?

La mia generazione, io stessa ho cominciato tardi – dopo l’università – a capire che cosa succedesse nella mia terra. Lo avessi fatto prima probabilmente non saremmo arrivati a questo punto. Quindi, il loro entusiasmo, che è a basi scientifiche – non è lo scendere in piazza e far casino – e scendono informati, studiano e lo studiano anche a scuola nonostante ci possano essere dei professori con idee diverse, si informano e si collegano tra di loro grazie ai social soprattutto. Si incontrano, manifestano e partecipano alle varie Cop, a Glasgow l’ultima. Si confrontano tra di loro e devono diventare i futuri policy makers della futura generazione dirigenziale dei nostri Stati e dell’Italia. Quindi, ben venga il loro attivismo.

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