“Questo sito è dedicato a Marthe Blouin” (Ottawa, 1954 – 2020).

21 Giugno 22 | Interviste

È stata tutta una trappola a Putin

Intervista a Andrea Cucco, direttore di difesaonline.it ed esperto sul mondo della difesa e della sicurezza che ci parlerà dell’attuale situazione militare in Ucraina, la differenza tra guerra convenzionale e non, come stanno vivendo le truppe russe questo conflitto e quale ruolo ha ancora l’arma nucleare nel XXI secolo. Infine parleremo della probabile alleanza tra Cina e Russia, dell’inevitabile terza guerra mondiale e le conseguenze che tutto questo avrà sul mondo e sul nostro paese.

Trascrizione

Questa avrebbe dovuto essere una guerra lampo, però non è stato così. Perché?

Una sconfitta russa sembrava impossibile, quantomeno sotto l’aspetto militare, ma l’enorme mole di aiuti militari che stanno ricevendo gli ucraini sta avendo i suoi effetti sul terreno.

Sin dall’inizio Putin ha detto che questa è stata un’azione di difesa e non di attacco. È vero?

La retorica è stata quella della reazione all’accerchiamento continuo della NATO a qualcosa che è iniziato da molto tempo, se vediamo comunque l’espansione a est dell’alleanza è indiscutibile che ci sia stato un continuo allargamento inesorabile. Ricordiamo solo che l’anno scorso, nei documenti finali della NATO, era prevista la futura entrata dell’Ucraina all’interno dell’alleanza. Questa però è la retorica, questa è la risposta ufficiale, e io ho parlato dal primo giorno di una trappola. Quello che vediamo oggi con l’allargamento, dato che come risultato fa sorridere che per non far entrare un paese nella NATO se ne trova due più l’Ucraina. E nei confronti di Svezia e Finlandia che vogliono entrare nell’alleanza, gli Stati Uniti in particolare, avevano subito dichiarato che ci sarà una protezione anche militare nei confronti di questo intento. 

Hai usato il termine trappola, però in che senso?

Sì. Una trappola lo era già per molti motivi, a questo si sono uniti altri aspetti: la fornitura al presidente russo di informazioni palesemente e clamorosamente errate (è stato confermato dopo due settimane con la rimozione di vertici dei servizi in Russia), e sono errori che in un paese del genere non capitano per incapacità o colpa, è evidente il dolo. Le forze messe in campo sono state caratterizzate da una sottovalutazione enorme di quello che si sarebbero trovati ad affrontare. Evidentemente, ritenevano che una semplice azione di forza avrebbe dissuaso gli ucraini dal reagire e avrebbe messo in fuga il presidente in carica, cosa che evidentemente è ben diversa dalla realtà. Una realtà che non è stata improvvisata a mio parere, è stata organizzata da molto tempo, e la risposta è stata ed è ancora piuttosto efficace.

E quindi tutto questo sarebbe partito da informazioni sbagliate. Però perché?

Entrando anche solo per gioco in una particolare ottica, quella del golpe. Un golpe che non avrebbe dovuto far cadere il Cremlino in maniera democratica, perché insomma non è un paese che si rivoluziona con delle elezioni, ma che avrebbe dovuto cambiare, perlomeno, “il partito”, nel senso la maggioranza, la fazione al comando al Cremlino attraverso la sconfitta politica e militare, o politica o militare. Ci sono state responsabilità interne, perché di fatto, le informazioni sbagliate sono state fornite dai propri servizi segreti e complicità all’estero.

E quindi chi?

L’ABC è chiedersi a chi ma chi tornava utile? Il paese che clamorosamente sta guadagnando da questa guerra è il paese a oriente che di colpo si trova una economia immensa a propria disposizione, armamenti know how e un alleato che se prima poteva rischiare una certa neutralità, adesso dovrà seguire la Cina nel suo destino. Perché la Russia non è un singolo paese ma è una sfera di influenza globale, sono alleanze, sono paesi terzi che stanno guardando al comportamento russo per decidere il proprio posizionamento futuro. E questo lo stiamo sottovalutando ampiamente.

Queste informazioni sbagliate sono arrivate dall’interno, ma allora come si può pensare a un’influenza esterna?

Il golpe come una guerra non si organizza in tempo reale ma con molti mesi di anticipo. Un aspetto delle nuove tecnologie su cui investono molto Stati Uniti e soprattutto Cina è l’analisi preventiva, ovvero l’analisi attraverso l’intelligenza artificiale di una massa enorme di dati perché si sono accorti che era possibile prevedere a distanza di settimane e mesi certi eventi, soprattutto legati all’antiterrorismo perlopiù, con gli strumenti informatici necessari. Io mi chiedo se non sia stata utilizzata anche per ottenere un risultato a distanza di molto tempo con delle piccole mosse, tra cui la fornitura di informazioni sbagliate a un presidente, la preparazione sul campo di una risposta della trappola. A mio parere, visto che la vera terza guerra mondiale sarà combattuta altrove, qualcuno doveva assicurarsi la fedeltà e l’alleanza russa che non avrebbe sicuramente portato alla sconfitta se neutrale.

E quindi il mondo sta ritornando diviso tra occidente e oriente. E quello che tu vedi?

Io credo che la vera terza guerra mondiale che inevitabilmente si combatterà tra non molto – non parlo di decenni, parlo di pochi anni – sarà uno scontro militare tra Stati Uniti e Cina.

Dove?

In Asia. Però diciamo che quando si parla di guerra mondiale le zone interessate saranno come sempre tutte. Pensiamo solo al mondo cyber, una cosa di cui si parla tanto ma il mondo dei conflitti cyber non ha un confine fisico.

Che tipo di guerra è quella di oggi tra Russia e Ucraina? 

È una guerra convenzionale da parte russa ed è una cosa a cui non siamo abituati da moltissimi anni. È un tipo di guerra che segna una svolta ovvero un conflitto sul terreno tra truppe, tra eserciti, in questo caso, inevitabilmente, quello ucraino. Però se ne parla meno di quello che si dovrebbe. Si parla molto della resistenza ucraina ma l’Ucraina ha delle forze armate di tutto rispetto che erano addestrate, rifornite, upgradate notevolmente negli ultimi anni. 

Che differenza c’è tra una guerra convenzionale e una guerra non convenzionale?

In una guerra convenzionale uno Stato interviene con proprie forze armate e con i tradizionali soldati; nelle altre lo si delega a qualcuno, lo si rifornisce, lo si aiuta, lo si sostiene, lo si finanzia, e si usa questa delega per fare i propri interessi. Io ho vissuto l’esperienza siriana di quel conflitto, in cui si parlava di ISIS, di Al Qaeda, di terroristi, di governativi, miliziani vari, e ognuno aveva uno sponsor diverso alle spalle. È stata una guerra sporca con centinaia di migliaia di morti e la cosa più disgustosa, anche a livello di informazione, era vedere come non ci fosse una correttezza nei confronti delle vere vittime che è sempre la gente comune, la popolazione che subiva gente altrui. 

Si mette in molto in evidenza le atrocità di questo conflitto ma è più atroce di altre guerre anche alle quali abbiamo partecipato?

No, credo che la guerra sia uguale in ogni forma. Io ricorderò sempre quando dieci anni fa intervistai un ambasciatore afgano e sottolineo un aspetto: “La guerra è abuso, prepotenza e violenza, la cosa migliore che si può fare in caso di conflitto è combattere per vincerla e farla terminare il prima possibile”. Credo che siano parole estremamente sagge ancora oggi.

E secondo te, più o meno, a quanti morti siamo arrivati sia militari che civili?

Sicuramente superiori ai 25 mila per parte come minimo. I militari russi hanno sicuramente un esercito convenzionale in campo che vantava di partenza e dotazioni maggiori, e un addestramento migliori sulla carta quanto meno migliore. Chi si difende anche ha un altro vantaggio: il vantaggio di conoscere i luoghi e chi attacca si dice che debba avere minimo il triplo delle forze, e già con questo vediamo l’errore fatto all’inizio, avere usato un contingente tutto sommato ridicolo di forze, per quanto fosse oltre centomila soldati per un impegno del genere. Oggi sono già raddoppiate, ma siamo per parte già nell’ordine decine di migliaia di vittime. Decine di vittime russe vuol dire decine di migliaia di soldati, miliziani e anche civili ma quello va avanti da molto tempo. Da parte dell’Ucraina sono i civili probabilmente la maggior parte.

Abbiamo sentito parlare molto dell’acciaieria a Mariupol. Ma perché è così importante? Perché se ne è parlato così tanto?

Perché rappresenta un simbolo. È un simbolo di resistenza, orgoglio e parallelamente un particolare obiettivo che è quasi impossibile espugnare, di fatto una struttura in ambiente urbano. Giusto ieri abbiamo fatto una puntata con due ex incursori dell’esercito che spiegavano l’inferno che rappresenta combattere in un ambiente urbano, a maggior ragione in una struttura come quella di Mariupol, l’ASUS dell’acciaieria che ha chilometri di cunicoli sotterranei costruiti perlopiù in epoca sovietica con criteri anche anti atomici. C’è un proverbio antico: “A nemico che fugge ponti d’oro”, perché se un nemico viene costretto in un angolo, combatterà e venderà cara la pelle fino all’ultimo uomo. Ecco, quelli all’Azovstal erano persone che erano costrette, volenti o nolenti, a combattere contro l’ultimo uomo.

Secondo te com’è il morale delle truppe russe oggi?

Non ho una percezione diretta ma temo che sia estremamente basso, perché quello da quello che doveva essere un’accoglienza anche popolare, benevola nei propri confronti, è stato chiaro da subito che c’era stato un errore di fondo. Il fatto di dover rimodulare i fronti di guerra, di perdere i territori, di conquistarne altri, ma soprattutto, di vedere altri camerati o compagni come si preferisce dirlo, cadere continuamente e quotidianamente – ci sono villaggi piccoli che sono costati la vita a centinaia di soldati – non sia facile per nessuno. E, soprattutto, a distanza di tempo vedere che gli obiettivi sono ancora lontani, temo che il tempo giochi solo a favore degli ucraini, anche se c’è chi dice il contrario.

E quali potrebbero essere le conseguenze del morale basso delle truppe?

C’è stato un aspetto particolare, intanto la moria di generali russi. In quel caso si manifesta, aldilà della dottrina russa che poi vede comunque che gli ufficiali siano esposti in maniera maggiore rispetto alla nostra, ma potrebbe rappresentare una chiave di lettura del basso morale alle truppe, ovvero la necessità di avere il proprio comandante in mezzo per riuscire a tenere saldi gli schieramenti. Il mondo militare in quel paese ha comunque una forza notevole. Rischiare di avere un morale eccessivamente basso può portare a cambiamenti forse anche interni.  

Durante la Guerra Fredda la paura del nucleare è servita come deterrente. Oggi c’è il rischio invece che il nucleare venga usato?

Oggi purtroppo si è perso quel timore, quei rischi, si sono sviluppate armi nucleari di minor impatto, quindi tattiche cosiddette, anzi scalabili, addirittura dove si può scegliere nello stesso ordigno la potenza da ottenere sul terreno. Sì, ai tempi nostri o almeno al tempo si pensava la guerra nucleare come la fine del mondo, ed era per quello che probabilmente ci sono stati cinquant’anni di pace in tutto il pianeta. Oggi è meno certa questa escalation istantanea. Il rischio è che se ne possa fare un uso localizzato e disinvolto da parte di qualcuno. Se l’Ucraina avesse mantenuto la sua deterrenza nucleare quando è diventata indipendente al posto di rifiutarla pubblicamente, oggi non avrebbe alcun problema con un vicino che sta occupando parte del suo territorio.

Ma quindi stai dicendo che servono le armi nucleari per avere la pace?

Volendo ricordare quello che dicevano i romani sì. È una deterrenza che funziona in ogni caso. Preferisco che sia una parte ad avere le armi migliori che non averla. Ripeto, l’Ucraina se già avesse ancora oggi le armi nucleari non avrebbe mai dovuto affrontare quello che sta vivendo oggi. Ricordiamo che l’unico paese europeo che ha a disposizione armi nucleari è la Francia, ma la Francia ha un’attitudine alla politica estera e una credibilità che è diversa dalla nostra. 

Ecco, allora parliamo di noi. L’Italia come sta reagendo a questa situazione?

Occhio che non vede cuore che non duole teniamo sempre nascosto o diciamo che teniamo sempre sotto tono qualsiasi allarme, soprattutto se poi si avvicina il significato al termine guerra. E questo sarà un grande cambiamento che dovremo fare, dovremo fare un salto in avanti, perché è legittimo e doveroso ripudiare la guerra, ma negarla o non vederla pure quando la abbiamo davanti agli occhi, o la stiamo vivendo, è un errore che si paga caro e questo non abbiamo ancora iniziato a farlo.

E come ci stiamo comportando?

Cucco -> Siamo sempre parziali, teniamo sempre lo sguardo sull’Ucraina ma non alziamo mai la prospettiva per riuscire a capire a livello globale cosa è cambiato inevitabilmente da ormai tre mesi e cosa comporterà in futuro.

Come siamo messi?

Siamo messi male. Ma non perché abbiamo degli uomini che non sarebbero capaci di affrontare la realtà, siamo messi male perché per troppi decenni abbiamo parlato di tutto tranne che di uso dei militari per affrontare una minaccia e poter rispondere con l’uso della forza. La nostra politica estera è inesistente, anche perché la deterrenza e la credibilità, anche sotto l’aspetto militare, è qualcosa di fondamentale nell’ottenere, non dico rispetto, ma un minimo di riscontro.

Ma avere tante basi americane e sul nostro territorio non ci serve come protezione?

Diciamo che qualsiasi problema sorga noi diciamo che facciamo parte di un’alleanza e questo è stato un po’ l’adagiarsi su delle sicurezze che abbiamo portato avanti per troppo tempo. Però, quello che dico, è che se si fa parte di una squadra di calcio, bisognerebbe avere tutti gli stessi pantaloncini, magliette e scarpe da ginnastica, non si può giocare in una squadra di calcio di serie A se si va a giocare con un calzino sì, un calzino no e la maglietta bucata; insomma, dovremmo imparare a far parte di una squadra, anche perché c’è un pericolo: la forza di una catena si valuta sull’anello più debole, se noi diventiamo l’anello più debole poi saremmo i primi ad essere presi di mira.

Per usare la stessa immagine, però, in una squadra non esistono soltanto i calciatori, esistono anche i preparatori, gli allenatori, i massaggiatori eccetera.

Eh, lo abbiamo fatto a lungo. Una delle caratteristiche è stata anche mandare migliaia di soldati in giro per il mondo in tutte le missioni perché noi non spendevamo quanto richiesto per la difesa, in compenso facevamo un po’ come i paesi del terzo mondo che mandano i soldati per le Nazioni Unite o per altre organizzazioni per riuscire a compensare questa carenza.

Però, io non voglio partecipare a una guerra non può essere anche questa una scelta legittima? 

Sì, diciamo che così suona bene. Di fatto, ci fa prendere molto poco sul serio da parte di tutti gli altri, a partire dagli alleati. Questa è la cosa più imbarazzante che nessuno vuole ammettere. Dovremmo diventare semplicemente un po’ più seri e capire a che cosa servono le forze armate, anche per la dignità e rispetto nei loro confronti. Sì, serve una rivoluzione culturale in Italia a riguardo e non in senso guerrafondaia, tutt’altro, anzi, in senso pacifista ma comprendendo che se gli antichi romani dicevano “Con la pace preparati alla guerra”, è perché la gente che aveva combattuto, e non a distanza di un chilometro o di centinaia come può avvenire adesso, ma guardando un altro uomo in faccia e togliendogli la vita ed è qualcosa di drammatico per chiunque, per qualsiasi cultura e in qualsiasi era. Quindi, se già allora dicevano “Se vuoi la pace preparati alla guerra”, dovremmo dare retta a chi ha avuto questa esperienza prima di noi.

L’occidente e anche l’Italia sta rifornendo di armi l’Ucraina. Non rischia questo di prolungare la guerra, è davvero giusto farlo? Dargliele?

Sì, nei momenti in cui qualcuno chiede aiuto sarebbe imperdonabile stare fermi, come sarebbe imperdonabile mandare armi non letali. Io immagino cosa penseremmo se di fronte a un’Italia invasa qualcuno ci mandasse cerotti, giubbetti antiproiettile, capiremmo probabilmente l’ipocrisia che non ci ha fatto essere rapidi, immediati come nei primi giorni di questo conflitto. E a differenza degli altri, Stati Uniti, Gran Bretagna, persino la Germania, loro mandano armamenti e non hanno problemi a raccontare cosa mandano. Io mi chiedo, oggi è in discussione il nuovo invio di armi, ma perché deve essere segretato? Forse è una mancanza di rispetto o forse è un limite dell’opinione pubblica italiana che si autoalimenta, perché poi eleggerà politici incapaci di raccontare loro la verità perché, purtroppo, la gente non può capire quello a cui servono delle armi, in questo caso per difendere un paese aggredito.

Tu parli di un limite dell’opinione pubblica italiana che non vuole armi, ma anche questa volta, ti chiedo, non può essere legittimo invece?

Nei confronti di questo conflitto non si può rimanere neutrali, come a qualcuno piacerebbe. Anche rimanere apparentemente neutrali vuol dire schierarsi. Io mi chiedo, se vedessimo per strada una persona che viene aggredita da qualcuno, parleremmo con l’aggressore mentre lo sta picchiando di pace, di accordi o cercheremmo di aiutarlo in qualche maniera?

E quindi la soluzione giusta qual è? Andare lì e dargli altri quattro pugni?

Cucco -> Quantomeno si chiami qualcuno delle forze dell’ordine. Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni si dice, credo che per tanti anni noi dietro il nostro buonismo, pacifismo, abbiamo avuto mani sporche di sangue spesso più di tanti aggressori. Stare a guardare è qualcosa, da una parte o dall’altra, di doveroso, soprattutto nel momento in cui scorre sangue.

In conclusione ti chiedo: che cosa succederà?

Non ci sarà una vittoria comune, qualcuno dovrà perdere. Il rischio di escalation è infinito.

E non c’è proprio modo di evitare questa escalation?

Io ricordo un proverbio che sentì la prima volta quindici anni fa o vent’anni fa che mi colpì molto: “Basta uno sciocco a far scoppiare una guerra ma non bastano dieci saggi a farla finire”. Vista l’esperienza anche loro lungo corso in termini di conflitti credo che sia un antico proverbio russo ancora tutt’oggi valido. L’epilogo non credo possa essere sicuramente diplomatico o politico come qualcuno sogna. Si è sparso anche fin troppo sangue, ogni volta che perdono la vita persone, e comprendo se uccidessero i nostri figli, i nostri parenti, chi potrebbe mai accettare facilmente un compromesso? No, il brutto della guerra è questo: questa escalation, anche interiore, che ci mette poi generazioni a sanarsi.

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